sabato 6 giugno 2020

LEOPARDI E IL CONCETTO DI IMITAZIONE

Facsimile della pagina 95
 del taccuino di Leopardi,
 tratto dalla prima edizione a stampa
Giacomo Leopardi apre il suo Zibaldone con l’intenzione di individuare quale sia l’oggetto delle Belle arti.
Che cosa le arti ricercano quando si fanno?
In particolare in queste sue considerazioni individuiamo il concetto di COPIA inteso come imitazione, ovvero riproduzione, riproposizione di un qualcosa che vediamo in natura.

Si potrebbe insomma credere che i letterati ricerchino nella propria opera quella perfezione estetica che costantemente sfugge alla natura.
Tuttavia, secondo Leopardi l’artista non ricercherebbe la perfezione metafisica, bensì volgerebbe il proprio intento nei confronti di una imitazione della natura.

Il Vero dunque non è altro che un tentativo di ripresentare una natura qualsiasi cioè indipendente dal giudizio di bello o brutto. ( la morte, le tempeste, o passioni umane sofferte: quando lette o ritratte, esse piacciono sebbene non raffigurino un’idea estetica di Bello.)
Quindi, l’arte vuol semplicemente imitare qualcosa che già c’è, e vuol farlo nel modo più credibile.

Ma allora se insomma l’arte è solo riproposizione del vero naturale, semplice copia di qualcosa che già esiste e che si può trovare nel mondo, che bisogno c’è di creare?

La risposta Leopardi ce la fornisce così:
Più ci diletterebbe una pianta o un animale veduto nel vero che dipinto o in altro modo imitato, perché non è possibile che nella imitazione non resti niente a desiderare. Ma il contrario manifestamente avviene: da che apparisce che il fonte del diletto nelle arti non è il bello, ma l’imitazione.

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